Santi del 10 Marzo
*Sant'Attala - Abate di Bobbio (10 marzo)
+ 627
Martirologio Romano: Nel monastero di Bobbio in Emilia, Sant’Attala, abate, che, cultore di vita cenobitica, si ritirò dapprima nel monastero di Lérins e poi in quello di Luxeuil, nel quale succedette a san Colombano, distinguendosi in particolare per lo zelo e la virtù del discernimento.
Sant’Attala era originario della Borgogna, ove nacque da una nobile famiglia. Per una sua conveniente educazione venne affidato ad Aredio, vescovo di Gap, città del Delfinato. Desiderando però uno stile di vita più rigido, Attala fuggì e per qualche tempo si rifugiò nel monastero di Lérins.
Anche questa sistemazione però non lo soddisfece e decise dunque di trasferirsi a Luxeuil, il monastero fondato da San Colombano: qui poté finalmente trovare l’austerità tanto desiderata e porsi sotto la guida del grande santo irlandese.
Quando Colombano venne bandito dalla Francia per aver rinfacciato i vizi del re Teodorico d’Austrasia, portò con sé in Lombardia alcuni compagni, tra i quali proprio Attala. Si stabilirono a Bobbio, su un tereno donato dal re longobardo Agilulfo, marito della celebre Teodolinda.
Colombano aveva ormai una settantina d’anni, venerabile età per quel tempo, e sopravvisse solo un anno. Buona parte del merito nella fondazione del monastero di Bobbio si deve infatti a Sant’Attala, che dal 615 gli succedette quale abate.
Venuta meno l’autorità carismatica del santo fondatore, furono avanzate dai monaci varie obiezioni all’austerità della vita comunitaria, ma Attala non si lasciò condizionare e lasciò andare coloro che erano insoddisfatti.
Alcuni di questi fecero però poi ritorno ed egli li accolse con affetto e benevolenza. Giona di Susa, suo agiografo, lo ricorda quale “uomo benvoluto da tutti, di grande fervore, carità per i poveri e i pellegrini.
Sapeva tenere testa all’orgoglioso, ma era umile con i più umili, non si lasciava zittire in conversazioni con le persone intelligenti ma con i semplici sapeva parlare dei segreti di Dio.
Saggio quando si imbatteva in problemi spinosi, fermo se contestato dagli eretici, era forte nelle avversità, disciplinato nei periodi favorevoli, sempre temperato e discreto. Mostrava amore e rispetto verso i suoi subalterni, saggezza con i suoi discepoli. In sua presenza nessuno poteva essere smodatamente triste o felice”.
Come San Colombano, anche Attala si trovò a dover combattere l’arianesimo, diffuso nei dintorni di Milano.
Ammalatosi gravemente, chiese di essere disteso fuori della cella, vicino alla quale era posta una croce che egli toccava ogni volta che entrava o usciva, e di essere lasciato solo. Come testimoniò un monaco rimasto nei paraggi, il Santo ormai morente pregò con fervore ed ebbe per diverse ore una visione del paradiso. Riportato infine nella sua cella morì il giorno seguente: era l’anno 627. Sant’Attala fu sepolto a fianco di San Colombano e pochi anni dopo anche San Bertolfo, loro successore, li raggiunse nella stessa tomba e condivise con loro il culto.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Attala, pregate per noi.
*San Blancardo - Vescovo (10 marzo)
VII sec.
Di San Blancardo (o Blanchard) sappiamo ben poco.
Visse nel VII secolo.
Le sue reliquie sono venerate a Nesle la Reposte, presso Villenauxeen Brie.
Nella diocesi di Auch gli è stata dedicata una chiesa parrocchiale a Saint Blanquart, presso Miranda.
La sua festa è stata fissata al 10 marzo.
(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Blancardo, pregate per noi.
*Santi Caio ed Alessandro - Martiri ad Apamea (10 marzo)
Eumeni, Frigia, II secolo – Apamea, Frigia, III secolo
Martirologio Romano: A Hisarlik sul fiume Meandro in Frigia, nell’odierna Turchia, commemorazione dei Santi Caio e Alessandro, martiri, che ricevettero la corona di un glorioso martirio durante la persecuzione degli imperatori Marco Antonino e Lucio Vero.
Un breve cenno sull’origine dei nomi; Caio deriva dal latino “Gaius” ed ha un significato molto evidente, cioè “gaio”, di “umore allegro”; questo ha provocato una confusione fra il nome Caio e il nome Gaio, tanto è vero che al 10 marzo nei vari calendari è venerato a volte l’uno, a volte l’altro, ma si tratta sempre dello stesso martire.
Il nome Alessandro invece deriva dal greco “Alexandros”, che significa “protettore degli uomini”.
Dei due martiri Caio ed Alessandro, non si sa nulla della loro vita, le uniche notizie pervenute, sono contenute nel cap. 16 della “Storia Ecclesiastica” di Sant' Eusebio (265-340) erudito vescovo di Cesarea; il quale li nomina parlando dei numerosi cristiani, imprigionati insieme ai ‘montanisti’ (seguace dell’eresia di Montano, prete frigio del II secolo, che predicava l’imminente fine del mondo), ad Apamea del Meandro (Frigia), dove subirono il martirio.
I due cristiani Caio ed Alessandro erano nativi di Eumenia in Frigia e insieme agli altri cristiani, rifiutarono fino all’ultimo di far causa comune con i montanisti e la loro falsa dottrina; da autori antichi, questo rifiuto è considerato come una prova del vigore con cui la Chiesa dei primi tempi, si opponeva all’eresia.
La data del martirio è controversa, la maggior parte dei Martirologi lo colloca sotto Marco Aurelio o sotto Commodo, ma sembra che ciò sia falso e che la loro morte sia da collocarsi al tempo dell’imperatore Settimio Severo (193-211), quindi nei primi anni del III secolo.
Che tipo di martirio abbiano subito, non è riportato nei testi, né nei vari Martirologi, che riportano i loro nomi abbinati ad altri gruppi e località diverse e quindi con commemorazione in giorni differenti.
Purtroppo è la situazione che si creò in quel periodo di martirio dei primi cristiani, che colpì praticamente anche coloro che magari avevano registrato nomi e modalità della morte dei martiri precedenti o contemporanei, facendone perdere le notizie storiche.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Caio ed Alessandro, pregate per noi.
*San Drottoveo - Abate a Parigi (10 marzo)
† 580 circa
Martirologio Romano: A Parigi in Francia, San Droctoveo, abate, che San Germano di Autun, suo maestro, pose a capo di un cenobio di monaci istituito in questa città.
Le notizie più antiche su Drottoveo sono tramandate dal suo contemporaneo Venanzio Fortunato, il quale gli dedica il capitolo XI del 1. IX dei suoi Carmina.
Una Vita andò perduta in seguito alle scorrerie dei Normanni, che ripetutamente, nell'845 e nell'857, incendiarono il monastero parigino di San Vincenzo Gislemaro, che figura nelle liste dei monaci dello stesso monastero tra l'841 e l'847, scrisse una nuova Vita di non molto valore, nella quale riferì quanto si tramandava sul santo monastero.
Drottoveo nacque verso il 530. Si formò alla scuola di san Germano, allora Abate di San Sinforiano ad Autun, il quale, allorché fu nominato vescovo di Parigi, condusse con sé il suo discepolo.
Alla morte di Childeberto nel 558, Germano procedé alla dedicazione della chiesa, che quel re aveva fatto costruire per conservare la stola del martire spagnolo san Vincenzo, e ne affidò la custodia ad una comunità moastica della quale diede la direzione a Drottoveo nonostante che Venanzio Fortunato non lo precisi, si tratta con ogni probabilità del monastero della Santa Croce e di San Vincenzo, che più tardi si chiamerà Saint-Germain-des-Prés.
Esso, nel ventennio del governo di Drottoveo, ebbe un grande sviluppo ed acquistò una grande rinomanza. Drottoveo morì verso il 580 in fama di santità e il suo corpo fu sepolto nella chiesa abbaziale.
Venanzio Fortunato lo aveva chiamato "vir venerande, sacre meriti et honorem calende, Droctovee, mihi semper amore Pater", nel carme a lui dedicato e la venerazione generale con la quale era seguito in vita continuò alla sua morte e ben presto fu oggetto di culto.
Usuardo lo ricorda al 10 marzo nel suo Martirologio. Tale elogio viene ripreso dal Martirologio Romano nella stessa data.
I Benedettini lo considerarono un loro santo, come hanno fatto per tutti quelli dei monasteri passati in un secondo tempo sotto la loro regola. La sua memoria figura nei Propri di Parigi e di Autun.
(Autore: Gian Michele Fusconi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Drottoveo, pregate per noi.
*Beato Elia del Soccorso (Matteo Elia Nieves del Castillo (10 marzo)
Scheda del Gruppo a cui appartiene il Beato Elia del Soccorso
“Santi e Beati Martiri Messicani”
Yuriria (Guanajuato - Messico), 1882 - 10 marzo 1928
Ordinato sacerdote agostiniano nel 1916, cinque anni dopo fu nominato vice parroco a La Cañada de Caracheo (Gto.-Messico).
In questo centro povero e sprovvisto di servizi sanitari e di scuola pubblica, si prodigò non solo nel ministero pastorale ma anche nel lavoro manuale per aiutare i suoi fedeli nell’indigenza e nella povertà.
Il ministero pastorale di P. Nieves trovò molti ostacoli e difficoltà a causa della situazione sociale dominata da odi e rivalità che sfociavano anche in forme di duro anticlericalismo.
Ne facevano le spese i sacerdoti che stavano in mezzo alla gente povera. P Nieves si tenne lontano da qualsiasi movimento rivoluzionario. Nonostante il suo carattere timido, invece di obbedire all'ordine governativo di risiedere nelle città, si stabilì in una grotta di un vicino colle, assicurando così ai suoi fedeli l’assistenza religiosa.
Fu sacerdote clandestino per 14 mesi. Arrestato, quando fu interrogato dichiarò la sua condizione di religioso.
La mattina dell’11 marzo 1928 gli fu annunciato che era giunta l’ora della sua morte.
Il p. Nieves chiese un momento di raccoglimento, diede la benedizione ai soldati e iniziò la recita del Credo, mentre quelli preparavano le armi per fucilarlo. Le sue ultime parole furono: Viva Cristo Re.
Martirologio Romano: Vicino alla città di Cortázar in Messico, beato Elia del Soccorso (Matteo Elia) Nieves del Castillo, sacerdote dell’Ordine dei Frati di Sant’Agostino e martire, che, mentre infuriava la persecuzione, fu arrestato perché esercitava di nascosto il suo ministero e morì fucilato in odio al sacerdozio.
Matteo Elías Nieves del Castillo nacque nell'Isola di S. Pedro, Yuriria (Guanajuato - Messico) il 21 settembre 1882. Era figlio di Ramón e Rita, un matrimonio di modesti agricoltori di profonda religiosità.
Dovette tardare a entrare tra gli Agostiniani, come ardentemente desiderava, sia per motivi di salute che per la sua condizione di povertà. Per questo arrivò ad essere sacerdote solo nel 1916, a 34 anni. Dopo le sue prime esperienze pastorali, gli fu affidato il vicariato alla Cañada de Caracheo, una borgata molto povera.
Lì egli ha svolto la sua breve ma intensa vita di sacerdote, impegnandosi senza riserve per i suoi parrocchiani, infondendo in essi il conforto e la speranza cristiana e condividendone tutti i disagi e le sofferenze.
Ma il Messico stava vivendo uno dei momenti più tragici della sua storia. Uscito dalla dominazione spagnola con la guerra di indipendenza del 1822, non era mai riuscito a incamminarsi verso una vera unità nazionale. Le nazioni ricche, che accampavano enormi diritti per concessioni sul petrolio e altre risorse del sottosuolo, fomentavano ogni possibile divisione interna, a cui facevano da cassa di risonanza i latifondisti e, purtroppo, anche degli ecclesiastici di alto rango, tutti accaniti nella difesa dei loro antichi privilegi. Contro tutti costoro il clima era fortemente acceso, sfociando anche in forme di duro anticlericalismo, di cui spesso facevano le spese i sacerdoti che stavano in mezzo alla gente povera. Non c'era in pratica un vero potere centrale, una sicurezza del diritto, una speranza di appello e di giustizia. Chiunque avesse avuto modo di arruolar gente e di ammassare armi faceva la legge e diveniva "la legge". Odi, rivalità, lotte incrociate e senza quartiere esplodevano come le bolle in una massa di magma incandescente. La paura di tutti era che un giorno o l'altro potesse arrivare, magari nel più piccolo centro sperduto nelle campagne, un gruppo di quella gente.
E infatti arrivò anche a Cañada de Caracheo. Era il 7 marzo 1928. Ma già da un paio d’anni il governo aveva emanato drastiche disposizioni allo scopo di impedire qualsiasi attività religiosa che non fosse sotto il controllo diretto dell'autorità civile. Disposizioni che in genere non venivano osservate, però permettevano qualunque eccesso a chi aveva il dente avvelenato contro la religione. In genere la vita religiosa continuava più o meno normalmente, ma nel clima di grossi rischi. Ognuno ce lo sapeva. Andava bene finché andava bene, ma se qualcosa si inceppava, erano guai.
Il p. Elia, per prudenza, si nascose in una grotta tra quei monti. Grotta da eremita. Ma ne usciva regolarmente per prestare ai suoi parrocchiani tutte le cure religiose, come se nulla fosse cambiato. Prudenza, ma senza paura. I suoi parrocchiani, che non capivano nulla delle misure governative, capivano lui, lo amavano sempre di più.
Il 7 marzo, dunque, arrivò un distaccamento di soldati alla ricerca, sembra, di certi ladri di bestiame. Essendo l'ora tarda, decisero di pernottare nella chiesa parrocchiale. Ma al tentativo di forzare le porte la gente si ribellò e ci fu una sparatoria. I soldati allora chiesero dei rinforzi e un altro distaccamento raggiunse il paese. Il giorno 9 stanarono il P.Nieves, travestito da contadino, ma fu lui stesso a dichiararsi sacerdote quando gli chiesero le generalità. Fu immediatamente preso prigioniero, insieme a due giovani contadini, i fratelli Sierra, che cercavano di tenerlo nascosto.
La mattina del 10, soldati e prigionieri partirono alla volta di Cortazar, da cui dipendeva la Cañada. Ma i prigionieri non vi arrivarono. Prima toccò ai fratelli Sierra. Fu permesso che il Padre li confessasse, poi furono fucilati mentre gridavano: "Viva Cristo Re!"
Ripresero il cammino. Vicini ormai a Cortazar, il comandante fermò il drappello e disse a p. Elias con sarcasmo: "Ora sta a voi. Fateci vedere se sapete morire come sapete dir Messa". Il Padre rispose: "È giusto. Morire per la religione è un sacrificio gradito a Dio".
Su sua richiesta gli concessero una mezz’ora per prepararsi al grande passo che per lui era come l'offertorio di una Messa con Gesù. Fu lui a scuotere la pesantezza del momento dicendo: "Eccomi, io sono pronto". Quando i fucili furono spianati, egli disse con decisione: "Ora inginocchiatevi. Vi voglio benedire in segno di perdono". Si inginocchiarono tutti, eccetto il comandante che gridò: "Io non voglio benedizioni. Mi basta la carabina". E mentre il Padre aveva ancora la mano alzata per benedire, gli sparò al cuore. Il Padre fece in tempo a gridare con chiarezza anche lui: "Viva Cristo Re!"
Subito la gente prese a venerarlo come un santo martire. Il suo corpo venne tumulato in un'apoteosi di folla, la terra imbevuta del suo sangue è stata conservata come reliquia, il luogo della fucilazione fu subito il suo santuario. Il suo sacrificio è stato un'offerta per la pacificazione del popolo. Fu solennemente beatificato il 12 ottobre 1997.
(Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A. - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Elia del Soccorso, pregate per noi.
*Sant'Emiliano di Lagny - Abate (10 marzo)
m. 10 marzo 660 (?)
Emiliano (Eminiano, Emmiano), di origine irlandese, lasciò la sua isola natale con alcuni compagni e si recò in Gallia presso il suo compatriota San Furseo (fr. Fursy) che stava costruendo, con l’aiuto del re Clodoveo II e del maestro di palazzo Erchenaldo, il monastero di Lagny, nella diocesi di Parigi (oggi di Meaux).
I nuovi arrivati lo aiutarono in questa costruzione, di cui Furseo fu il primo abate.
Quando costui partì, nel 650, per far visita ad altri abati, suoi parenti, che dimoravano in Inghilterra, pose a capo della sua abbazia il monaco Emiliano, ma Furseo morì in viaggio, in loco Macerias, presso Peronne.
Gli successe Emiliano che partecipò più tardi alla traslazione dei resti mortali del suo Predecessore.
Egli morì un 10 marzo; certi autori fissano al 660 l'anno del suo decesso, ma nessun documento permette di affermarlo.
(Autore: Jean Marilier – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Il 10 marzo si celebra Sant’Emiliano di Lagny. L'Irlanda è stata una regione in cui l'evangelizzazione arrivò, per ovvi motivi geografici, più tardi che in altre parti dell'Impero Romano, quando il Cristianesimo non era che ai suoi primi secoli di vita. Ma forse proprio per recuperare il tempo perduto, questa terra ha visto fiorire una pletora di santi che sono stati fondamentali per la diffusione della religione Cattolica nel Nord Europa.
Basti pensare al Santo patrono dell'isola, San Patrizio, a cui tante leggende sono legate, ma la cui fede salda in Cristo è l'elemento più certo della sua biografia. Uno dei santi intorno ai quali si possiedono maggiori informazioni, poiché di lui scrisse San Beda il Venerabile nella sua Storia Ecclesiastica, è San Fursa, la cui festività ricorre il 16 gennaio.
San Fursa, il cui nome spesso si trova indicato anche come Furseo, visse intorno alla seconda metà del settimo secolo dopo Cristo, e fu dapprima un predicatore itinerante. Dalla costa occidentale dell'Irlanda, di cui era nativo, si spostò verso l'Inghilterra e infine in Francia, dove entrò nelle grazie di re Clodoveo II che gli concesse la possibilità di fondare ed erigere un monastero nella località di Lagny-sur-Marne.
Alla figura di questo santo abate, che operò molto e bene per la maggior gloria di Dio, si lega anche la memoria di un altro Santo, il cui ricordo liturgico, secondo il Calendario Cattolico, si celebra nel giorno 10 marzo, che corrisponde a quello della sua morte. Si tratta di Sant'Emiliano di Lagny: l'indicazione toponomastica viene apposta per distinguerlo da altri Santi che portano il suo stesso nome. Spesso si trova anche indicato come Emmiano.
Sant'Emiliano era a sua volta irlandese, un'altra di quelle anime sante che dalle terre che erano state la culla del paganesimo celtico di adoperarono per diffondere il verbo del vero Dio. Proprio seguendo San Furseo, Sant'Emiliano abbandonò la sua terra natale per recarsi nella Gallie, l'odierna Francia, e fu al fianco dell'abate per la costruzione del monastero di Lagny-sur-Marne.
Sant'Emiliano non era che uno dei tanti compagni che avevano voluto aiutare, senza alcun desiderio di primeggiare o di distinguersi, il loro confratello Furseo nell'erigere un'opera che andasse a glorificare il nome di Dio in terra francese. Ma Dio volle diversamente: accadde infatti che San Furseo si trovasse ad allontanarsi per un breve periodo, e nominò in sua sostituzione Sant'Emiliano quale abate del monastero.
Ma San Furseo non tornò mai, perché durante il viaggiò Iddio lo richiamò al suo cospetto.
Fu così che Sant'Emiliano divenne in pianta stabile il primo abate del monastero di Lagny-sur-Marne, morendo però di lì a poco, secondo alcune fonti nel 660 d.C.
Come spesso accade, la sua ricorrenza cade dunque nel giorno della sua morte, che è quella in realtà della vera nascita per ogni cristiano, quando si torna alla casa del Padre.
(Fonte: Santo del giorno)
Giaculatoria - Sant'Emiliano di Lagny, pregate per noi.
*Beato Giovanni Delle Celle - Abate (10 marzo)
Firenze, ca. 1310 - Vallombrosa, Firenze, ca. 1394-96
Ecco un abate degradato, nel monastero fiorentino di Santa Trinità. Non si conosce bene la sua colpa: pare che ci sia di mezzo una donna, e comunque la cosa è molto grave, perché dopo la degradazione l’ex abate viene chiuso dentro una torre, per un anno intero.
Nome di famiglia: Giovanni da Catignano. È entrato giovane tra i monaci detti di Vallombrosa, dal nome del luogo presso Firenze, dove nel 1051 San Giovanni Gualberto ha fondato l’Ordine. E si è fatto presto notare per l’ingegno, l’amore per lo studio e il carattere turbolento. Virtù e difetti che lo hanno portato dapprima alla guida del monastero e poi alla reclusione nella torre.
Trascorso l’anno di prigionia, i suoi monaci lo rivorrebbero abate. Lui invece si ritira in solitudine a Vallombrosa, ma non dentro lo storico monastero: la cella di un vicino romitorio sarà la sua casa per sempre, perché ha deciso di punirsi ancora per conto suo, facendosi segregato a vita. E così, per tutti, cambia pure nome.
Ora lo chiamano Giovanni delle Celle. Vive lontano da tutto, ma è in contatto per lettera con la vita politica e religiosa del suo tempo, soprattutto di Firenze. Ammiratore e amico di Caterina da Siena, la difende energicamente contro un certo frate Ruffino che l’ha accusata di eresia, e gli scrive: "Caterina gode della tua villania, per amore di colui che tante ne sostenne per lei, e piange della tua cechità e malizia, e prega Dio che ti illumini e ti perdoni".
Anche Caterina scrive a lui, e in una lettera gli chiede calorosamente di intervenire a sostegno di papa Urbano VI (Bartolomeo Prignano) al quale nel 1378 alcuni cardinali hanno contrapposto l’antipapa Clemente VII (Roberto di Ginevra). Ecco le sue parole: "Vi prego che voi andiate a Firenze a dire a quelli che sono vostri amici, e che ’l possono fare, che lor piaccia di sovvenire al Padre loro e d’attenergli quanto gli hanno promesso".
Giovanni ha sostenuto vigorosamente Caterina quando lottava per far cessare la residenza dei papi in Avignone.
E anche ora le dà ascolto, battendosi con gli scritti in favore di papa Urbano, soprattutto con i governanti fiorentini.
Ma rimane nella sua cella: per nessun motivo verrà mai meno alla segregazione perpetua che ha voluto infliggersi. Prega, studia e scrive, sempre lì per un quarantennio, guadagnandosi pure fama letteraria di "prosatore vivo e forte" (don Giuseppe De Luca). Conosce a fondo i grandi scrittori della classicità latina, e gli sono familiari anche gli italiani del suo secolo, Dante e Petrarca. Ma soprattutto da quella solitudine Giovanni diventa guida spirituale per uomini e donne, sempre scrivendo: ai reggitori di Firenze, a laici e a chierici, a uomini e a donne, a chi ha perduto un figlio, e pure all’abate di Santa Trinità (che ha preso il suo posto quando l’hanno degradato). Nella sua cella riceve la notizia della morte di Caterina nel 1380, e lì si spegne in un anno imprecisato, 1394 o 1396. Poco dopo la sua morte, l’Ordine Vallombrosano già lo venera come Beato.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Delle Celle, pregate per noi.
*San Giovanni Ogilvie - Martire (10 marzo)
Drum, Keith, Scozia, 1579 - Glasgow, 10 marzo 1615
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Glasgow in Scozia, San Giovanni Olgivie, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire: trascorsi molti anni nello studio della sacra teologia esule per i regni di Europa, ordinato sacerdote, tornò di nascosto in patria, dove con somma diligenza si dedicò alla cura pastorale dei suoi concittadini, finché, messo in prigione sotto il re Giacomo VI e condannato a morte, ricevette sul patibolo la gloriosa palma del martirio.
Giovanni Ogilvie (Ogilby) nacque nel 1579 a Drum in Scozia e di lui non si sa nulla con certezza prima del 1593, anno in cui fu inviato quattordicenne sul Continente a studiare, come molte famiglie facoltose della Gran Bretagna, facevano con i loro figli in quell’epoca.
Si convertì al cattolicesimo ed entrò nel Collegio scozzese di Douai in Francia; nel 1595 si trasferì a Lovanio in Belgio, dove viene affidato alla guida di padre Cornelio a Lapide. Tre anni dopo nel 1598, lasciò Lovanio per proseguire gli studi a Ratisbona, in Germania, nel Collegio dei benedettini scozzesi, poi presso i gesuiti ad Olmütz, dove sentì la chiamata di Dio allo stato religioso; ottenne così di essere ammesso al noviziato gesuita di Brunn in Moravia, in cui entrò il 24 dicembre 1599, aveva vent’anni.
Nel 1607 era a Vienna come docente di sacra eloquenza, compito tenuto per due anni, nel biennio successivo è di nuovo al Olmütz a studiare teologia; viene consacrato sacerdote a Parigi nel 1610 e destinato a Rouen.
Ma il suo desiderio sin dai tempi di Lovanio era quello di ritornare nella sua patria la Scozia, per lavorare nelle missioni cattoliche, bisogna ricordare che in tutta la Gran Bretagna era in corso la persecuzione anticattolica, attuata nel periodo della Riforma anglicana e che in quegli anni era sostenuta dal re Giacomo I Stuart (1566-1625), in Scozia pur essendo della stessa intensità nelle restrizioni e sofferenze, fece comunque pochissime vittime.
Dopo più di due anni di richieste, rivolte anche al generale gesuita Claudio Acquaviva, fu esaudito e nell’autunno del 1613 poté partire e sbarcare a Leith, un sobborgo di Edimburgo.
Dopo 22 anni di assenza riuscì finalmente ad entrare in Scozia con la falsa identità di ‘capitano Watson’. Prese ad operare nell’apostolato missionario ad Edimburgo, ospite di Guglielmo Sinclair, avvocato al Parlamento e fervente cattolico, celebrava clandestinamente le Sante Messe frequentatissime, predicando fattivamente ai tanti cattolici che meditavano con interesse la sua parola; si spinse travestito, anche nelle carceri a confortare i molti cattolici prigionieri.
Si recò anche a Londra e Glasgow e fu proprio in questa città, che venne arrestato il 4 ottobre 1614, su denuncia di Adam Boyd, fatta all’arcivescovo protestante.
Subì per quattro mesi dolorosissime torture e restando sempre strettamente incatenato, tanto da poter compiere pochissimi movimenti, finì davanti ai giudici scozzesi per cinque volte, dal 1614 al 1615; rimangono due resoconti molto particolareggiati dei processi, uno redatto dallo stesso Giovanni Ogilvie e completato dai compagni di prigionia, l’altro è costituito dalla relazione ufficiale inglese fatta scrivere dall’arcivescovo protestante Spottiswood, subito dopo il supplizio del martire.
Il 10 marzo 1615, il sacerdote venne dichiarato reo di lesa maestà dal tribunale di Glasgow e condannato a morte mediante impiccagione; la sentenza venne eseguita nel pomeriggio dello stesso giorno, sulla forca innalzata al centro della città, nel crocevia detto “Glasgow Cross”.
Contrariamente agli altri condannati, gli fu risparmiato lo scempio dello squartamento dopo morto, non si finisce mai di restare sgomenti davanti alle efferatezze inventate dagli esseri umani contro i suoi stessi simili, lungo il corso dei secoli.
Fu subito sepolto nel cimitero dei condannati e dei suoi resti non se ne seppe più nulla. La sua causa di beatificazione fu associata nel 1922 a quelle di numerosi martiri inglesi, ma l’episcopato, il clero e i cattolici scozzesi, richiesero un trattamento separato per la gloria della Chiesa di Scozia.
Fu beatificato il 22 novembre 1929 da papa Pio XI e canonizzato da papa Paolo VI il 17 ottobre 1976. Festa liturgica il 10 marzo. (Autore: Antonio Borrelli)
Nella Scozia nativa frequenta solo le prime scuole. Poi, a 14 anni, i suoi lo mandano nel Continente per gli studi superiori, come fanno molte famiglie importanti. Degli Ogilvie sappiamo solo che a metà del ’500, abbandonato il cattolicesimo (come la maggior parte della popolazione), hanno aderito alla Chiesa presbiteriana del regno di Scozia, ispirata ai precetti di Giovanni Calvino, fondata da Giovanni Knox, e staccata da Roma; come la Chiesa anglicana, nata qualche tempo prima con Enrico VIII in Inghilterra.
Sbarcato in Francia, il ragazzo Ogilvie entra in amicizia con giovani inglesi e scozzesi di fede cattolica. Alcuni di loro, anzi, si preparano al sacerdozio e poi torneranno da clandestini in Gran Bretagna per sostenere le minoranze cattoliche e fare opera missionaria. Il campo-base culturale e spirituale per queste spedizioni si trova a Douai, nel Nord della Francia. E appunto qui, nel collegio scozzese, entra un giorno anche Giovanni Ogilvie, che si è convertito al cattolicesimo intorno ai quindici anni; e che per altri venti camminerà sulle strade d’Europa passando da un istituto religioso all’altro, prima come alunno e poi come insegnante: Francia, Belgio, Germania, Austria, Boemia e Moravia... Appunto in Moravia, a Brno, viene accolto come novizio nella Compagnia di Gesù. A 31 anni è ordinato sacerdote a Parigi: dopo tanta attesa, ora potrebbe essere giunto per lui il momento di ritornare in patria. Lo mandano invece a Rouen.
Lui si rivolge al generale della Compagnia, padre Claudio Acquaviva, che gli consente di partire. Travestito e con falso nome, sbarca nell’autunno del 1613 nel regno di Scozia, ora governato da Giacomo I Stuart, che è pure re d’Inghilterra, successore di Elisabetta I (quella che ha fatto decapitare sua madre, Maria Stuarda). A Edimburgo trova chi lo ospita; alle Messe clandestine partecipano fedeli rianimati dalla sua presenza e dal suo linguaggio di compatriota.
Va continuamente in giro travestito, in cerca di qualsiasi occasione per il colloquio e l’incoraggiamento. Questi fedeli, li vuole rianimare uno per uno, e va in cerca ostinatamente dei peccatori, riuscendo talvolta a penetrare anche in qualche prigione. Ma tutto questo dura poco: un anno appena. Poi arriva quello che lo denuncia, ed eccolo incarcerato nell’autunno del 1614. Aspetterà fino alla primavera dell’anno successivo, recluso e incatenato. La sua predicazione clandestina, le sue Messe segrete sono tradimento, attentato al re.
E Giacomo I in verità non ama comportarsi da repressore spietato. Ma c’è stata nel 1605, a Londra, la “congiura delle polveri”, ordita da un gruppo di cattolici e sventata all’ultimo momento: un’enorme esplosione avrebbe dovuto uccidere insieme il re e i membri del Parlamento riuniti con lui. E la colpa di quei pochi, col loro piano sanguinario, continua a ispirare severità.
Per Giovanni Ogilvie la condanna è alla morte, pronunciata e subito eseguita a Glasgow mediante impiccagione pubblica. Seppellito tra le fosse di altri giustiziati, il suo corpo non sarà più ritrovato. Canonizzandolo nel 1976, Paolo VI ha detto di lui: «Bisognerebbe conoscere meglio questo scozzese, che da calvinista si fa cattolico, poi gesuita, missionario nella sua patria, per rivendicare a quel popolo ciò che noi oggi, col tomo del Concilio alla mano, chiamiamo la libertà religiosa».
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Ogilvie, pregate per noi.
*San Macario di Gerusalemme - Vescovo (10 marzo)
Vescovo di Gerusalemme dal 313 al 334
Conosciamo Macario soltanto come vescovo di Gerusalemme. Ma al suo tempo Gerusalemme non c'è più. Già nell'anno 70 il Tempio era stato distrutto. Nel 135, poi, la città stessa è stata rasa al suolo: sulle sue rovine è sorta Aelia Capitolina, col suo Campidoglio costruito sul luogo della sepoltura di Gesù. Macario vive come vescovo un momento importantissimo. La "pace costantiniana" si estende a tutto l'Impero.
Macario ottiene dal sovrano il consenso per abbattere il Campidoglio, e così fa tornare alla luce l'area del Calvario e del Sepolcro. Macario, inoltre, si oppone alla dottrina ariana, e interviene poi nel maggio del 325 al Concilio celebrato a Nicea. Si ritiene che il vescovo Macario sia stato uno degli autori del Simbolo niceno, ossia del Credo che ancora oggi pronunciamo. (Avvenire)
Etimologia: Macario = felice, beato, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Nello stesso giorno, commemorazione di San Macario, vescovo di Gerusalemme, per esortazione del quale i luoghi santi furono riportati alla luce da Costantino il Grande e da sua madre Sant’Elena e nobilitati con la costruzione di sacre basiliche.
Il suo nome, Macario, significa “felice”, “beato”. Ma ci sono ignote la sua famiglia, il luogo di origine e buona parte della sua vita. Lo conosciamo soltanto come vescovo di Gerusalemme, la città che è santa per gli Ebrei come luogo dell’unico Tempio innalzato all’unico Dio, e per i cristiani, come luogo della crocifissione e della risurrezione di Gesù Cristo. Ma, all’epoca di Macario, Gerusalemme non c’è più. Già nell’anno 70, dopo aver schiacciato un’insurrezione antiromana, il futuro imperatore Tito aveva distrutto il Tempio. Nel 135, poi, dopo un’altra rivolta al tempo dell’imperatore Adriano, la città stessa è stata rasa al suolo, perdendo anche il nome: sulle sue rovine è sorta infatti una colonia romana chiamata Aelia Capitolina, col suo Campidoglio costruito sul luogo della sepoltura di Gesù.
Macario vive come vescovo un momento importantissimo. Dopo l’ultima persecuzione anticristiana, ordinata e poi disdetta dall’imperatore Galerio (anni 305-311), i suoi successori, Costantino e Licinio, danno ai cristiani piena libertà di praticare la loro fede, di celebrare il culto, di costruire chiese.
È la “pace costantiniana” estesa a tutto l’Impero, e dunque anche a Gerusalemme, dove Macario si mette al lavoro; ottiene dal sovrano il consenso per abbattere il Campidoglio, e così fa tornare alla luce l’area del Calvario e del Sepolcro. Su di essa sorgerà più tardi la basilica grandiosa della Risurrezione.
Qui verrà in pellegrinaggio anche Elena, la vecchia madre di Costantino, prima di una serie infinita di pellegrini.
Negli stessi anni c’è nel mondo cristiano un’aspra divisione, provocata dalla dottrina del prete libico Ario, sulla natura di Gesù Cristo. Macario, da Gerusalemme, si oppone subito alla dottrina ariana, e interviene poi nel maggio del 325 al Concilio celebrato a Nicea (presso Costantinopoli), dove viene confermata la dottrina tradizionale.
Si ritiene anzi che il vescovo Macario sia stato uno degli autori del “Simbolo niceno”, ossia del Credo che ancora oggi pronunciamo nella Messa, professando la fede "in un solo Dio, Pare Onnipotente" e "in un solo Signore, Gesù Cristo... Dio vero da Dio vero".
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Macario di Gerusalemme, pregate per noi.
*Santa Maria Eugenia di Gesù (Anna Milleret de Brou) - Fondatrice (10 marzo)
Metz (Francia), 25 agosto 1817 - Auteuil (Parigi), 10 marzo 1898
Anna Milleret de Brou nacque a Metz (Francia) il 25 agosto 1817 da una famiglia di origine italiana. Dopo la morte della madre nel 1832 Anna visse un periodo di forte apatia dalla quale fu scossa grazie alla predicazione di padre Lacordaire, durante la Quaresima del 1836.
Spinta dal religioso Anna incontrò l'abate Maria-Teodoro Combalot che da tempo voleva fondare una comunità di Suore per l'educazione delle figlie della borghesia liberale.
Dopo un periodo di "noviziato" e di studio della teologia, il 30 aprile 1839 diede vita a Parigi, alla nuova Congregazione "Istituto dell'Assunzione di Maria".
Nel 1844 prese il nome di Maria Eugenia di Gesù e assunse la conduzione dell'Opera fino alla morte, il 10 marzo 1898. (Avvenire)
Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Parigi in Francia, Beata Maria Eugenia Milleret de Brou, vergine, fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Assunzione per l’educazione cristiana delle giovani.
Anna Milleret de Brou, nata a Metz (Francia) il 25 agosto 1817, crebbe in una famiglia di origine italiana e in un clima determinato dal padre, un liberale sprezzante della religione e dalla madre invece profondamente religiosa, che riuscì comunque ad educare la figlia secondo i principi cristiani.
L’adolescenza la trascorse nel collegio di Metz di ispirazione cattolica, ebbe un’illuminazione particolare nel giorno della sua Prima Comunione che le preannunciava la sua vocazione; purtroppo verso i 13 anni una grave malattia la costrinse ad interrompere gli studi, che dovette poi proseguire da sola.
Le prove per Anna continuarono, nel 1930 durante la rivoluzione contro il re Carlo X, che porterà sul trono di Francia Filippo d’Orleans, il padre perse i suoi beni e due anni dopo nel 1832 quando aveva 15 anni le morì la madre, vittima del colera; per tre anni fu assistita a Parigi in casa di parenti.
Le disgrazie subite, le ristrettezze economiche, la scarsa frequenza alle pratiche religiose della famiglia in cui andò a vivere, la portarono su una strada fatta di frivolezza, mancanza di pietà e senso religioso, ma con nell’animo una profonda insoddisfazione.
La fortuita predicazione della Quaresima del 1836, a cui lei assisté, predicata dal padre Lacordaire, la scosse dalla sua apatia, spingendola ad incontrare l’abate Maria-Teodoro Combalot su consiglio dello stesso predicatore.
Questo abate aveva in animo da tempo, di fondare una comunità di suore dedite all’educazione delle fanciulle della buona società, pertanto era alla ricerca di un’anima sensibile e intelligente che potesse aiutarlo nello scopo. Invitò Anna Milleret a frequentare una specie di noviziato presso le suore Benedettine a Parigi e poi presso le suore Visitandine nel Delfinato, dove poté perfezionarsi nello studio della teologia dogmatica e morale, nella pedagogia e nelle Sacre Scritture.
Quindi il 30 aprile 1839 insieme ad altre tre compagne radunate dall’abate Combalot, diede vita a Parigi, alla nuova Congregazione “Istituto dell’Assunzione di Maria” dedicandosi all’educazione delle fanciulle dell’aristocrazia e borghesia liberale che erano così ostili alla religione.
L’abate Combalot pur essendo un grande e valente predicatore non era purtroppo un valido organizzatore, per cui nel 1841 si ritirò dal compito e così la nascente fondazione passò alle dipendenze dell’arcivescovo di Parigi mons. Affre.
A Natale del 1844 le prime quattro suore più una conversa emisero i voti perpetui e Anna Milleret prese il nome di Maria Eugenia di Gesù, assumendo in pieno la conduzione dell’Opera.
La Regola prevede per le suore una vita di contemplazione con opere di vita attiva e dato il particolare campo d’azione è richiesta una preparazione spirituale elevata e una buona cultura intellettuale nelle singole materie da esse insegnate.
Maria Eugenia volle per le sue figlie “contemplative dell’azione”, la recita del divino Ufficio come devozione principale, perché essa è la preghiera ufficiale della Chiesa e il centro della loro spiritualità deve essere Gesù Eucaristia.
L’Istituto fu approvato definitivamente dalla S. Sede l’11 aprile 1888, la madre fondatrice lo governò fino alla morte che avvenne il 10 marzo 1898 ad Auteuil (Parigi); attualmente le suore sono 1800 sparse in 81 case.
Maria Eugenia di Gesù è stata beatificata il 9 febbraio 1975 da papa Paolo VI ed infine canonizzata da Benedetto XVI il 3 giugno 2007. (Autore: Antonio Borrelli)
Ecco la figura di una donna eccezionale. Perché se sorprendente è ogni donna elevata alla gloria degli altari, particolarmente lo è la beata Maria Eugenia Milleret, fondatrice, a soli 22 anni, della Congregazione delle Religiose dell’Assunzione. Nasce nel 1817 , in Francia, a Metz, penultima dei cinque figli di una famiglia borghese.
Papà, seguace delle idee di Voltaire, è proprietario di tre banche, uomo freddo e severo, probabilmente iscritto alla massoneria; mamma, non molto credente, dolce e ferma, è l’anima della casa. Nonostante un’educazione “apparentemente senza Cristo”, può ricevere la prima comunione a 12 anni e viene abituata ad aiutare con rispetto e discrezione poveri e ammalati.
La situazione familiare cambia di colpo con il fallimento di papà, la separazione dei genitori, la morte di mamma per colera quando lei ha appena 15 anni. Prima la affidano ad un’amica di mamma, una donna ricca e mondana che vive per i divertimenti e per i frequenti ricevimenti.
Poi ad una cugina troppo pia ed esageratamente devota, che forse rappresenta un pericolo ancora maggiore per la fede che pian piano si sta facendo strada nella sua anima. Perché lei si sta lentamente aprendo a Gesù, grazie al famoso domenicano Padre Lacordaire, le cui prediche lei ascolta volentieri, mentre in cuore stanno nascendo i primi germi di una vocazione confusa. Con il fervore dei neoconvertiti vorrebbe bruciare le tappe, mentre il prudente predicatore la invita a pregare ed aspettare. Ad ascoltarlo ci guadagna, perché quando meno se lo aspetta sulla sua strada si affaccia padre Combalot, un ardente sacerdote e focoso predicatore, che sta sognando una congregazione di religiose capaci di unire alla vita contemplativa la passione per l’educazione.
Egli è infatti convinto che la rigenerazione della società è possibile solo attraverso la donna e sull’educazione femminile occorre pertanto far convergere tutti gli sforzi. Intelligente, perspicace ed illuminato, in quella ragazza di appena 19 anni Padre Combalot individua subito la stoffa della fondatrice e per questo la prepara, in una specie di noviziato “da privatista”, attraverso un rigoroso piano di preghiera e di studio.
Prima ancora di compiere i 22 anni, il 30 aprile 1839, suor Maria Eugenia si trova così a capo del primo gruppetto che dà vita all’Istituto dell’Assunzione di Maria, che si dovrà occupare dell’educazione delle fanciulle, proprio come voleva padre Combalot. Il quale, a dimostrazione che nessuno è perfetto a questo mondo, irruento, disorganizzato e incostante, neppure due anni dopo se ne va, lasciandola sola con una congregazione che sta muovendo a fatica i suoi primi passi.
Suor Maria Eugenia tira fuori tutta la sua grinta, la sua capacità organizzativa e il suo coraggio per far crescere il nuovo istituto, in mezzo a persecuzioni, incomprensioni, e difficoltà create anche dall’Autorità religiosa. Oggi le Suore dell’Assunzione sono 1800, sparse in più di 200 comunità, che continuano ad amare e servire la Chiesa educando la gioventù, nello spirito di suor Maria Eugenia, che si è spenta a 81 anni, il 10 marzo 1898, ed è stata proclamata beata da Paolo VI nel 1975.
(Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Maria Eugenia di Gesù, pregate per noi.
*Beato Marie Jean Joseph Lataste - Fondatore (10 marzo)
Cadillac-sur-Garonne, 5 settembre 1832 - Frasne-le-Chateau, 10 marzo 1869
Fr. Marie Jean Joseph Lataste nasce a Cadillac-sur-Garonne - Francia nel 1832. Dopo la perdita della fidanzata sente la vocazione alla vita consacrata nell’Ordine domenicano dove entra a 25 anni ricevendo l’ordinazione sacerdotale nel 1863.
In seguito ad una predicazione nel carcere di Cadillac dove tocca con mano la trasformazione radicale delle anime operata dalla grazia, sente che il Signore lo chiama a fondare una Congregazione contemplativa in cui siano accolte, senza discriminazioni, persone con un passato umanamente fallimentare.
Da questa intuizione e dalla sua tenacia sostenuta da superiori e suore collaboratrici di un'altra Congregazione Domenicana nascono nel 1867, le Suore domenicane di Betania, ora presenti e operanti in diversi paesi d’Europa accanto alle donne vittime delle situazioni più difficili e umilianti. P. J.J. Lataste muore a soli 37 anni nel 1869 a Frasne-le-Chateau, vittima del male che lo ha segnato per tutta la vita.
Finalmente, il 3 giugno 2012, è stato beatificato questo giovane simpatico apostolo della Misericordia di Gesù. La sua avventura mi "ha incantato" fin dalla giovinezza. Ma chi è?
Il 5 settembre 1832, a Cadillac-sur-Garonne, cittadina della Gauscogna, Francia del Sud, nasce Alcide Lataste.
Suo padre è un liberale, seguace di pensatori come Montesquieu e Rousseau, nemici della Chiesa. Sua madre, Jeanne, è una donna di fede, umile e grande. Tenta di convertire il marito, ma non ci riesce. Ai figli, Alcide, Onorato e Rosy, raccomanda di rispettare il padre, ma li sottrae alla sua influenza di miscredente. Insegna loro ad amare molto la Madonna e a recitare il Rosario.
Alcide è molto affezionato a sua madre e la ascolta. Rosy, docile ragazza, tutta preghiera e sacrificio, entra in convento per chiedere a Dio due grazie: la conversione di papà e il sacerdozio per Alcide. Infatti, dopo qualche tempo, Alcide entra in Seminario, ma l’ambiente troppo rigido gli mette paura, ed esce. Per qualche anno, cammina, adolescente, sulle vie del mondo: incerto sulla scelta da compiere, ma sempre retto e generoso.
La vita, come dono
Un giorno, incontra una ragazza eccezionale: Cecilia de Saint-Germain. I due vivono alcuni mesi di fidanzamento, sereni e lieti, con progetti belli per l’avvenire. Ma per volere del padre, Alcide deve rinunciare a Cecilia, "perché non è ancora in grado di metter su famiglia". Due anni dopo, Cecilia muore, proprio nel momento in cui egli si sta chiedendo qual è la sua strada: la famiglia o il sacerdozio?
Assetato di amore, vuole amare ed essere amato. Riversa tutto il suo cuore – un cuore di carne – sui più poveri, sugli "ultimi". Si iscrive alle Conferenze di S. Vincenzo, fondate dal professor Federico Ozanam oggi "beato". Apre una mensa gratuita per i poveri e organizza una scuola serale per i soldati di una vicina caserma.
Comprende che si può essere felici solo se si dà la vita per amore. "A che serve la vita – si chiederà Paul Claudel – se non è donata?". E chi mai ha donato la vita più di Gesù?
Uomo della misericordia
Alcide riflette e prega molto. Scrive a padre Enrico Lacordaire che, alcuni anni prima, aveva "rifondato" l’Ordine Domenicano in Francia. Dalla sua scuola di Sorèze, P. Lacordaire gli risponde e lo invita a incontrarlo: "Vieni e vedi". È il 22 maggio 1857 e Alcide ha 25 anni. P. Lacordaire gli spiega che la misericordia di Dio aiuta a superare tutte le debolezze e le fragilità: lo spirito di S. Domenico e del suo Ordine è uno spirito di misericordia e di fiducia nell’amore di Dio che salva e trasforma le anime.
Mosso da questo grandissimo ideale, Alcide entra nel noviziato domenicano di Flavigny-sur-Ozerain, veste il bianco abito e prende il nome di fra Joseph, in onore di S. Giuseppe, lo Sposo verginale di Maria SS.ma.
A 30 anni, l’8 marzo 1863, è ordinato sacerdote.
L’amore per Gesù, in primo luogo, l’amore per i più tribolati degli uomini, per i più peccatori, lo fa ardere dentro. Ha una sete inesauribile di vivere di Dio e di donare Dio alle anime che incontra. Il cuore, penetrato da Lui, è sempre inquieto di possederlo di più. Comprende che Maria SS.ma è la via regale per condurre le anime a Gesù e si affida a Lei nello spirito della "schiavitù d’amore" di S. Luigi de Montfort, prete francese d’inizio ‘700 e terziario domenicano.
Un giorno a Cadillac…
14 settembre 1864. P. Joseph Lataste entra nel carcere femminile di Cadillac. L’hanno invitato a predicare "una missione" a quelle donne malvissute. Ci sono prostitute, alcolizzate, madri che hanno abortito o ucciso il marito o il compagno della loro vita. Nel carcere succedono violenze, rivolte, suicidi. Insomma: un ambiente diverso da quello delle Figlie di Maria o delle Orsoline!
P. Joseph, sensibile e angelico, prova una stretta al cuore. Si è preparato con serietà, ha pregato a lungo per loro. Ora le ha davanti: il volto coperto da fazzolettoni fisso a terra. Con la sua anima innocente, profumata di Eucaristia e di Cielo, il giovane domenicano comincia a parlare:
– Carissime sorelle: capite perché vi chiamo così? Se usciste di qui e si sapesse da dove venite, sareste segnate a dito. Ma io, sacerdote di Gesù Cristo, vengo a voi liberamente. Vi tendo le mani, vi dico: sorelle! Vi chiederete perché mi siete così care. Io sono un ministro di Dio che vi ama malgrado i vostri errori, di un amore che non ha eguali sulla terra, di un Dio che vi perseguita con il suo amore, per cambiarvi completamente, per farvi iniziare un’altra vita. Egli già opera nei vostri cuori.
Quelle poverette lo ascoltano stupite: mai nessuno ha parlato loro così. P. Lataste continua:
Anche le monache fanno una vita dura come la vostra: hanno poco cibo, dormono poco, lavorano faticosamente, vivono nel silenzio, segregate dal mondo. Ma se poteste ascoltarle, le vedreste tutte felici. Ora questa gioia può diventare la vostra. Per Dio non conta ciò che siamo stati, ma ciò che oggi siamo e vogliamo essere. Dio vuole rifarvi nuove. Vuole considerarvi come le vostre sorelle monache. Vi chiede di gareggiare con loro in amore e santità.
Capita un miracolo. I volti di quelle donne si illuminano. Su 400 carcerate, 380 seguono la predicazione del Padre. La sera, dopo la predica, le detenute possono andare in sacristia della cappella a confessarsi dal Padre. Vanno in gran numero. P. Lataste parla loro ad una ad una, dona loro il perdono di Dio e le vede piangere di gioia: "Non sapevo che Dio – gli dicono – mi amasse così". "Non solo ho perdonato chi mi ha fatto del male, ma pregherò perché possa godere la gioia che io provo oggi". "Voglio solo offrire la mia vita a quel Dio che lei mi ha fatto conoscere".
Verso la fine della "missione", il Padre si sente dire da alcune di quelle donne: "Cambieremo la nostra vita di carcerate in quella di recluse per amore, come le monache". "Che cosa posso volere di più quando, uscita di qui potessi far parte anch’io di una comunità religiosa per vivere a fondo l’amore di Dio".
L’ultima sera, il 18 settembre, quelle donne trascorrono la notte in preghiera davanti al Tabernacolo: sono duecento donne in ginocchio davanti a Gesù Eucaristico che lo adorano e gli offrono propositi di conversione e di santità. P. Joseph Lataste commenta: "Ho visto cose meravigliose", e ha un’intuizione: "Daremo vita a una comunità religiosa per queste donne".
Nasce Betania
Tra le detenute, c’è Angelica. Il primo giorno della "missione", era il giorno da lei fissato per il suicidio. Ma l’amore di Gesù Cristo, predicato dal giovane frate, l’ha trasformata. Si è confessata, ha pianto lacrime cocenti di pentimento e lacrime di gioia. Ha confidato al Padre che, uscita, vuole farsi suora, non solo per espiare le sue colpe, ma per lodare Dio per la sua misericordia.
Come in un lampo, il frate vede tutta la sua fondazione futura: la chiamerà "Domenicane di Betania", e ne faranno parte donne provenienti da una vita retta e donne provenienti da esperienze di peccato che Dio ha rifatto nuove nel cuore con la sua misericordia, come la Maddalena. Nessuno dovrà conoscere il loro passato, perché davanti a Dio conta l’amore e il sacrificio presente. Tutte gareggeranno in amore per Gesù come Marta e Maria nella casa di Betania, così ospitale per il divino Maestro.
L’anno dopo, 1865, P. Lataste ritorna a Cadillac e la sua idea prende corpo. All’inizio i superiori del frate non vedono bene il suo progetto. Poi credono alla sua sincerità e gli danno via libera, con prudenza e cautela somme. È intanto "maestro degli studenti" nel convento di Flavigny, presso Digione.
Là giunge l’8 maggio 1866 suor Bernardina, già superiora di una scuola, che ora diventa suor Enrica Domenica. Sarà la prima suora di Betania, l’Istituto di P. Lataste.
A Frasnes, diocesi di Besançon, il 14 agosto 1866, inizia la vita comunitaria del nuovo piccolo Istituto. Sono in quattro: suor Enrica Domenica, suor Margherita Maria e due ragazze giunte il giorno prima: Anna e Agostina. Il 23 giugno 1867, arriva dal carcere di Cadillac, dove ha finito di scontare la sua pena: Angelica, quella che voleva suicidarsi, perché nessuno la amava e che, grazie a P. Lataste, aveva scoperto il mirabile amore di Dio.
E ora sparire!
Le difficoltà non mancarono. Allora padre Joseph ebbe un’altra intuizione: lui doveva sparire, perché Betania potesse crescere. Il suo modello e protettore era S. Giuseppe di Nazareth, l’uomo del silenzio, che no era mai vissuto per se stesso, ma solo per gli interessi di Gesù. Perché non sparire come lui?
Il 19 marzo 1866, accortosi che il nome di S. Giuseppe non figurava nel testo della Messa di ogni giorno, aveva fatto voto di dare tutto se stesso, fino al sacrificio della vita, affinché S. Giuseppe fosse maggiormente onorato nella Chiesa. Però S. Giuseppe avrebbe dovuto portare la sua fondazione in porto… Poi aveva scritto al Papa Pio IX affinché S. Giuseppe diventasse il patrono della Chiesa universale.
E così Betania, nata con la sua protezione, ora in messo alla bufera l’avrebbe portata alla pienezza. P. Lataste, ancor giovane, è già gravemente malato: la tubercolosi lo divora, ma sa che tutto andrà bene per opera di Dio, della Madre Celeste e del suo Sposo. Le suore di Betania non devono angosciarsi: sono in buone mani, andranno avanti e saranno un inno alla misericordia e all’amore infinito di Dio, che chiede di non peccare più, di convertirsi, di darsi totalmente a Lui.
Il 10 marzo 1869, a 37 anni, P. Joseph Lataste va incontro a Dio, al canto della "Salve Regina". Poco tempo prima aveva guardato le sue "figlie" in Gesù Cristo, a una a una: lui solo, insieme a Dio, conosceva la storia di ciascuna e le trasformazioni meravigliose che Gesù aveva operato in loro. Sapeva benissimo che molte di loro avevano avuto tutti contro, meno Dio, che è sempre la Verità e l’Amore.
Da Papa Pio IX, l’8 dicembre 1869, S. Giuseppe veniva proclamato Patrono universale della Chiesa Cattolica, come aveva chiesto P. Lataste. Nella sua breve esistenza, tuttavia piena di amore sino all’eroismo, aveva testimoniato la misericordia rinnovatrice e l’amore verginizzante di Dio, anche verso le anime più lontane: "Se il nostro cuore ci rimprovera, Dio è più grande del nostro cuore" (1 Gv 3, 20).
(Autore: Paolo Risso)
Nasce a Cadillac-sur-Garonne nel 1832 e viene battezzato col nome di Alcide.
Compie gli studi umanistici presso il seminario minore di Bordeaux e il collegio di Pons da dove esce quasi ventenne diplomato. Dopo aver accantonato l’idea di farsi sacerdote conduce una vita normale come molti giovani della sua età. Lavora come impiegato statale all’ufficio delle imposte e contemporaneamente è impegnato nel servizio caritativo con le Conferenze di San Vincenzo fino alla fondazione di nuove comunità. Pensa già al matrimonio, quando la fidanzata, Cecilia de St Germain muore giovanissima di tifo. A questo lutto fanno seguito, a poca distanza, quello per la morte della sorella suora e quello per l’amata nutrice. Tutto ciò determina in lui una profonda crisi interiore che si risolve con un completo abbandono in Dio che in questa circostanza inizia a manifestargli la chiamata alla vita religiosa e sacerdotale. La sua accurata ricerca della volontà di Dio, sostenuta dal padre spirituale lo fa approdare all’Ordine domenicano che dopo la persecuzione della rivoluzione conosce momenti di grande vitalità.
A 25 anni è quindi novizio nell’antico convento di San Massimino di Marsiglia da poco riscattato dal P. E. D. Lacordaire il grande predicatore di Notre-Dame. Grazie anche all’impulso da lui dato a questa giovane e nuova comunità, si respira un intenso fervore. Durante quest’anno si manifestano i gravi problemi di salute che lo obbligano a curarsi ripetutamente e a rinviare per ben due volte la professione religiosa. Da quel tempo in poi ai momenti di salute e di piena attività si alterneranno quelli di intensa sofferenza fisica fino al tracollo finale che non tarderà a manifestarsi.
Nel 1863 viene ordinato sacerdote e due anni dopo grazie alla fiducia dei confratelli è eletto sottopriore conventuale e maestro dei novizi. A quest’ultima carica rinuncia per potersi dedicare alla fondazione dell’opera delle riabilitate che è ormai diventato lo scopo della sua vita.
Nel 1864, infatti era stato mandato dai suoi superiori a predicare un corso d’Esercizi spirituali in un grande carcere femminile, vicino a Bordeaux (Francia), a Cadillac sur Garonne. Ad ascoltarlo, c’erano quattrocento donne disperate, ergastolane o semplici carcerate. Donne vittime dell’industrializzazione galoppante, umiliate, al bando, emarginate a vita, che reagivano con suicidi a catena o giornate calde di ribellione.
Padre Lataste non credeva tanto a questo apostolato. Se entra nel carcere, il 15 settembre 1864, è solo per obbedienza. Scriverà poi il sentimento di ripulsione, di ribrezzo che ha sentito valicando la porta di questa casa della disperazione. Ma nel suo cuore, albergano due amori: un amore folle per Dio ed un doppio amore per la donna: sia quella pura, innocente, come l’ha ammirata nella sua fidanzata, morta anche prima del fidanzamento ufficiale, sia la donna peccatrice, ma salvata al punto di diventare santa, come l’ha scoperta in Maria Maddalena, durante il suo noviziato nell’Ordine domenicano.
Jean Joseph Lataste ha preparato accuratamente questo corso di esercizi spirituali. Ce lo dimostrano le sue cartelle. Quando inizia a parlare, si trova davanti tutti i capi chini delle detenute che non vogliono incontrare il suo sguardo, anche se tutte sono state lasciate libere di seguire il corso. Parla loro di Dio, del suo Amore misericordioso che le ha portate in questo luogo «per parlare al loro cuore», paragonando il carcere al deserto del profeta Osea e le carcerate alla fidanzata amata da Dio. Propone ad esse di considerarsi subito, sin d’ora come monache di clausura, le quali fanno presso a poco la stessa vita delle carcerate ma, mentre queste sono nella tristezza, quelle sperimentano la gioia: mentre le une sono onorate, le altre sono disprezzate. Il predicatore invece assicura che Dio non fa differenza tra le une e le altre, perché «pesa le anime solo secondo il peso dell’amore».
E le donne ci credettero. Durante l’ultima notte, fecero l’adorazione del santissimo in soli due gruppi: duecento per la prima metà della notte, le altre duecento in seguito Padre Lataste, sconvolto, scriverà che il loro raccoglimento avrebbe potuto far ingelosire la più fervente delle comunità di contemplative.
Alcune donne gli confidano il desiderio di consacrarsi totalmente a Dio dopo il carcere, giacché lui ha già proposto loro di vivere fin d’ora la carcerazione come una vocazione religiosa. Ma ciò che ha predicato il domenicano non trova riscontro nella Chiesa. Se é vero che Dio non guarda al passato, che «non serve nulla essere stata virtuosa se non lo si é più e che non ha nessuna importanza di essere stata peccatrice se non lo si é più», nella struttura della Chiesa le persone, troppo spesso, rimangono bollate dal proprio passato. Non era possibile nell’800, per una donna che avesse avuto esperienze di prostituzione, carcere, sesso, di entrare in convento. Al massimo, poteva entrare a far parte di una comunità di «pentite», segnate a vita come ex-peccatrici. Ora Padre Lataste aveva predicato il contrario.
Ma Dio non aveva organizzato un tale successo apostolico per nulla. Voleva creare delle cose nuove. Mentre pregava nella cappella del carcere, il domenicano vide delinearsi nelle grandi linee l’opera che doveva far sorgere: bisognava riunire donne pure, provenienti da una vita cristiana onesta, normale, con altre venute da esperienze difficili di carcere, prostituzione...Riunirle senza che ci sia nessuna differenza né discriminazione tra di loro, perché Dio le ama, le ricerca tutte ugualmente.
Due anni dopo, il 14 agosto 1867, nasceva la prima comunità delle Suore domenicane di Betania. All'interno della comunità, non si conoscerà il passato le une delle altre. Dall'esterno nessuno potrà distinguere chi è la ragazza per bene e chi è la ragazza da poco, ma tutte saranno unite da quell'unico Amore che solo può dare il coraggio di cambiare vita, che solo può far nascere fiori dal letame. Fondata così tra mille difficoltà la prima comunità, dopo la repentina morte del trentasettenne fondatore nel 1869 la congregazione si è diffusa in Francia e altrove. La regola contempla la vita fraterna senza discriminazioni, il lavoro come mezzo per guadagnarsi da vivere, la visita alle carceri e ambienti similari di sofferenza ed emarginazione, la vita di preghiera e di studio, come cemento che crea e unisce la comunità. La Congregazione, affiliata all’Ordine Domenicano ha la sua sede in Francia a St. Sulpice De Favieres ed è presente oggi in Austria, Belgio, Olanda, Francia, Svizzera e Italia (Torino) e conta più di 200 suore.
Il 1 giugno 2007 la Congregazione per le Cause dei Santi ha pubblicato il decreto sull’eroicità delle sue virtù ed è in corso il processo sul miracolo a lui attribuito.
E' stato beatificato il 3 giugno 2012 a Besançon.
(Autore: Fr. Angelo Belloni o.p. - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Marie Jean Joseph Lataste, pregate per noi.
*Beato Matteo Elia Nieves del Castillo (10 marzo)
A Cortazar in Messico, ricordo del Beato Matteo Elia Nieves del Castillo, presbitero dell’Ordine dei Frati di Sant’Agostino, Martire, che, durante la persecuzione anticristiana, fu arrestato per aver esercitato di nascosto il suo ministero, e fucilato perché sacerdote.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Matteo Elia Nieves del Castillo, pregate per noi.
*San Simplicio - 47° Papa (10 marzo)
sec. V - (Papa dal 03/03/468 al 10/03/483)
Nato a Tivoli, fu papa in un periodo tormentato della storia dell’Occidente che vide la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, quando il barbaro Odoacre nel 476 depose l’ultimo imperatore Romolo Augustolo.
Contemporaneamente la Chiesa d’Oriente era travagliata dalle conseguenze dell’eresia monofisita, la quale sosteneva che in Cristo ci fosse unicamente la natura divina.
Si hanno poche informazioni su Simplicio: prese netta posizione contro l’eresia anche nei confronti dell’imperatore d’Oriente Zenone, stabilì turni di presbiteri nelle principali basiliche cimiteriali e non soltanto restaurò e dedicò chiese a Roma ma, rispettoso della vera arte, salvò dalla distruzione i mosaici pagani della Chiesa di Sant' Andrea.
Etimologia: Simplicio = ingenuo, dal latino
Martirologio Romano: A Roma presso san Pietro, San Simplicio, Papa, che, al tempo delle invasioni dell’Italia e dell’Urbe da parte dei barbari, confortò gli afflitti, incoraggiò l’unità della Chiesa e rinsaldò la fede.
San Simplicio, nativo di Tivoli, esercitò il ministero pontificio dal 468 al 483, in un periodo tormentato sia per la vita della Chiesa che per quella dello Stato. Com'è noto, Odoacre, poiché non venivano soddisfatte le richieste di terre da coltivare avanzate dai suoi Eruli, troncò ogni indugio: tolto di mezzo Oreste, ne depose il figlio Romolo Augustolo, ultimo rappresentante imperiale, che relegò in una villa napoletana con una rendita annuale di 6.000 libbre d'oro, e rinviò le insegne imperiali all'imperatore d'Oriente, Zenone.
Neppure questi d'altra parte aveva una vita tranquilla, poichè proprio nel 475-476 dovette fronteggiare la rivolta di Basilisco: riuscì ad averne ragione solo con l'aiuto di Teodorico, re degli Ostrogoti, che poi spodestò anche Odoacre. Questa serie di avvicendamento non restava senza conseguenze anche per la vita della Chiesa sia in Occidente che in Oriente. Odoacre, infatti, e anche Teodorico erano seguaci dell'eresia ariana, mentre Basilisco si appoggiava nella sua rivolta particolarmente sui seguaci dell'eresia monofisita.
Il monofisismo era stato suscitato da Dioscoro, patriarca di Alessandria d'Egitto, e soprattutto dal monaco Eutiche: la sua tesi centrale, che le dava anche il nome, era che in Cristo vi è una sola natura, quella divina.
Nonostante l'importante ed energico intervento di S. Leone Magno, l'eresia trionfò in occasione del cosiddetto "latrocinio di Efeso", ma due anni dopo la dottrina ortodossa venne affermata con chiarezza nel concilio di Calcedonia, che assunse come articolo di fede il documento di San Leone Magno.
Questo concilio emanò anche il famoso canone 28, che riconosceva una preminenza del patriarcato costantinopolitano, che venne contestata come innovazione pericolosa dagli inviati di S. Leone Magno e venne combattuta anche da S. Simplicio.
La controversia sul monofisismo andò avanti ancora per qualche tempo: ne fu responsabile anche l'imperatore Zenone che nel 482 tentò un impossibile compromesso con il suo Henoticon, contro il quale papa Simplicio prese netta posizione.
Oltre a questa difesa della dottrina cristiana genuina, San Simplicio si rese benemerito per aver restaurato e dedicato alcune chiese romane come Santo Stefano Rotondo e Santa Bibiana, e, mostrandosi rispettoso di ogni valida arte, fu lui ad ordinare che venissero salvati dalla distruzione i mosaici pagani della chiesa di Sant'Andrea. Le sue reliquie si venerano a Tivoli.
(Autore: Piero Bargellini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Simplicio, pregate per noi.
*San Vittore - Martire in Africa (10 marzo)
Etimologia: Vittore = vincitore, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: In Africa, commemorazione di san Vittore, martire: su di lui, nel giorno della sua festa, sant’Agostino tenne al popolo una omelia.
Sono parecchi i Santi di nome Vittore venerati dalla Chiesa, ma ad esclusione dei Corpi Santi questo è sicuramente quello su cui possediamo meno notizie.
Anzi, ad onor del vero, nulla ci è stato tramandato se non il suo nome: fu infatti Possidio, biografo di Sant’Agostino, ad elencare nell’Indiculus un sermone che il grande santo dedicò al martire Vittore.
É però impossibile risalire a quale dei numerosi santi omonimi vissuti nell’Africa settentrionale si potresse riferire. Certo è, invece, che il Cardinal Baronio lo inserì nel Martyrologium Romanum in data 10 marzo.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vittore, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (10 marzo)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.